Prima di potersi porre la domanda “Cosa voglio fare?” è necessario aver dato risposte a molte altre domande.
In conclusione degli studi scolastici – e questo accade ciclicamente – si esce da una dimensione per entrare in una nuova. Questa è una dimensione essenzialmente psicologica. Si ha l’impressione di ritrovarsi fuori da qualcosa dentro il quale non ci eravamo mai accorti di essere. Questo dentro è sicuramente determinato dall'esperienza scolastica, dalla giovane età, dall'assenza di certe responsabilità e certe consapevolezze che si acquisiranno più avanti nel tempo. Il fuori è uno spazio nuovo dove i riferimenti di prima non sono più sufficienti a garantire stabilità. Proprio questa assenza di stabilità sembra terrorizzare i genitori; questa stessa assenza di stabilità terrorizzerà molti adulti che si troveranno, per altri motivi, a perdere, in certi momenti della loro vita, i loro riferimenti.
Quella sensazione di vuoto, di perdita di equilibrio e di riferimenti è una benedizione, ha la stessa valenza di un foglio bianco dove poter scrivere. Quello che accade più frequentemente è che quel foglio venga scritto prima che il ragazzo avverta quella sensazione, scritto di sua mano ma non di sua mente e di suo cuore. Accade altre volte che il ragazzo si ritrovi davanti a quel foglio bianco senza sapere cosa farci iniziando a scarabocchiare o lasciandolo così senza nemmeno trovare i colori.
La frenesia del non perdere tempo porta molti a partire come un treno per raggiungere l’obbiettivo disegnato su quel foglio. C’è chi cerca nel mondo circostante delle risonanze ma nulla vibra e finisce con l’accontentarsi perché non ha mai immaginato di diventare esso stesso vibrazione e nessuno mai glie lo ha insegnato. Ti stai chiedendo cosa è meglio?
Il meglio sarebbe imparare a scrivere e comprendere che quel foglio ci appartiene e che possiamo scriverci per tutta la vita, non è così piccolo e per quanta roba ci sia scritta c’è sempre spazio per altro.
Certo se ho scritto di me per mille volte che sono un avvocato, avrò difficoltà a scrivere la parola “attore” o la parola “medico”; il perché è comprensibile: avremmo l’impressione, in qualche modo, di sgretolarci, di scinderci. È a questo punto che dovremmo diventare finalmente capaci di restare in contatto con quella sensazione di instabilità, riconoscerla come qualcosa di antico e comprendere che essa è la possibilità di allargare la nostra visuale del foglio.
Per chi ha scritto in maniera definitiva su tutta la superficie del foglio una sola parola, la vita comincerà ad un certo punto ad apparire separata: ci sarà il tempo del lavoro, il tempo del sonno, il tempo dei pasti, il tempo dei bisogni fisiologici e, finalmente, il tempo della vita! Questo si riduce a trenta minuti al giorno, certe volte il fine settimana, certe volte il ponte alle Canarie.